Nel linguaggio comune automazione, robotica e oggi l’intelligenza artificiale vengono spesso viste come una minaccia per l’occupazione e per il ruolo dell’uomo nella società: timori che progrediscono di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie verso nuove capacità.
La recente diffusione di massa dell’AI generativa ne è un esempio. Oggi queste tecnologie sono in grado, ad esempio, di creare testi, mappe concettuali, immagini (e molto altro) di risultato in alcuni casi sorprendente.
Non tutti, però, vedono l’AI come una minaccia. Al contrario, analizzando casi concreti di aziende che implementano questi modelli di AI, si capisce quanto molto spesso si tratti di una tecnologia in grado di incoraggiare e facilitare la comunicazione tra le persone e abilitare nuove modalità di interazione, sincrona o asincrona, a sostegno della collaborazione.
Tuttavia, per migliorare l’efficienza operativa e raggiungere gli obiettivi organizzativi, con una gestione ottimale di competenze e di ruoli in un moderno luogo di lavoro, è necessario allineare tecnologie, persone e processi aziendali. Questa sinergia, inoltre, può portare benefici operando lungo tutta la catena del valore, dai fornitori ai clienti.
Sono proprio questi i temi discussi nel corso di “Re-BrAIn” il convegno organizzato da E80 Group per “Ripensare all’intelligenza artificiale come leva della conoscenza condivisa”.
“Con l’AI e il Digitale l’innovazione non è mai stata così accessibile”, spiega Gabriele Grassi – Digital Innovation & Communication Director di E80 Group. Che aggiunge: “Creare una cultura d’impresa significa però anche porsi interrogativi e stimolare un dibattito ampio su temi che superano il perimetro di una singola azienda. Oltre a generare valore per il mercato e per il territorio, un’azienda all’avanguardia oggi deve riflettere sul senso e sulle modalità del proprio lavoro e su come una tecnologia a rapido sviluppo può impattare nella società. Siamo molto lieti che le aziende nostre ospiti abbiano raccolto l’invito e confidiamo che ‘Re-Brain’ diventi un format che dal nostro headquarter porti il dibattito all’esterno, accompagnando la riflessione creativa sull’innovazione nel suo divenire, tra le eccellenze imprenditoriali del nostro Paese e non solo”.
All’incontro hanno partecipato, oltre a Grassi e a Luca Mondini, Digital Transformation Specialist di E80 Group, esponenti di estrazione molto diversa che hanno animato un interessante dibattito, moderato da Piergiorgio Grossi, Chief Innovation Officer di Credem Banca: David Bevilacqua, ceo di Ammagamma; Alessandro Braga, chief digital officer di Talent Garden; Alessandro Ruberti CTO data & AI di IMA Digital; Alberto Sasso, Innovation manager Gruppo Danieli, e Martina Stefanon, Business development manager, IMA Group. L’incontro è stato ospitato all’interno della sede della multinazionale di Viano, specializzata nello sviluppo di soluzioni intralogistiche automatizzate e integrate per imprese produttrici di beni di largo consumo e centri di distribuzione.
Dal dato all’informazione e poi alla conoscenza: il ruolo dell’AI e l’importanza delle connessioni
Un aspetto di forte interesse riguarda le opportunità che nascono dall’AI in relazione alla gestione del sapere (knowledge management) che si trova all’interno dell’azienda.
Questo sapere, strumento prezioso per l’azienda, ha alla sua base le connessioni. Connessioni tra le cose – macchine in grado di parlare con i sistemi gestionali della fabbrica (integrazione verticale) e con altre macchine (integrazione orizzontale), che è la base per abilitare la raccolta e, successivamente, l’interpretazione e l’analisi del dato -, e connessioni tra persone che, attraverso lo scambio di esperienze e sapere, generano innovazione.
Una delle prime cose che è emersa nel dibattito è che le connessioni che si sono create, trasversalmente, nelle aziende e nelle fabbriche connesse, ben lontane dall’emarginare l’uomo, hanno invece permesso di rendere ciò che più lo contraddistingue al centro del processo di creazione del valore: il linguaggio. Il linguaggio è, infatti, oggi al centro della condivisione del sapere, in un processo che vede l’AI come lo strumento abilitatore di una conoscenza più approfondita e consapevole.
Le opportunità dell’AI nell’ambito della gestione della conoscenza
Ed è ciò che ha riscontrato il Gruppo E80, realtà da sempre attenta ai temi di innovazione e sostenibilità e che già nel lontano 1992 aveva anticipato il concetto di Industry 4.0 lavorando nella direzione della Smart Factory sostenibile, interconnessa e sicura.
Il gruppo sviluppa e produce nei suoi stabilimenti una vasta gamma di soluzioni di automazione, tra cui: veicoli a guida automatica e laser; robot di palettizzazione; fasciatori robotizzati ad alta velocità; sistemi di controllo palette, etichettatrici robotizzate; magazzini automatici ad alta densità e soluzioni di case e layer picking, il tutto gestito dal software proprietario SM.I.LE80, Smart Integrated Logistics.
Grazie alla sua capacità di cogliere il potenziale delle tecnologie digitali, l’azienda ha avviato da qualche mese progetti che mirano ad esplorare le potenzialità dell’AI, ad esempio nell’ambito del knowledge management. Più nello specifico, si tratta di un progetto orientato al recupero e all’organizzazione di un flusso di informazioni destrutturato. Dopo aver specificato ambiti di intervento ed attività, sono stati dati “in pasto” a una soluzione di AI una serie di documenti rilevanti (testi, immagini, video, registrazioni di call) al fine di creare una sorta di mappa della conoscenza.
“Abbiamo così ottenuto un hub della conoscenza fatto di parole chiave e relazioni tra queste e i concetti adiacenti in termini di significato o geografico. La struttura era completa e corretta, ma mancava ancora un elemento fondamentale: il contesto”, spiega Luca Mondini, Digital Transformation Specialist di E80 Group. “E così abbiamo fatto un passo indietro e abbiamo spiegato al software che cos’è E80, come lavoriamo e quali sono i processi principali. In questo modo la mappa è migliorata ed è diventata utile”.
“Quello che ci ha stupito in questo progetto – prosegue Mondini – è come la collaborazione tra umano e macchina sia stata in grado di mettere a fattor comune i punti di forza di ciascuna delle due componenti. La macchina con le sue potenzialità di elaborazione nel gestire una mole infinita di dati, nel trovare pattern e nell’organizzare informazioni destrutturate; l’uomo con la sua capacità di dare contesto e significato, facendo un collegamento tra realtà e rappresentazione della realtà”.
La collaborazione e la condivisione di conoscenza all’interno del modern workspace
Questa relazione uomo-macchina non può sostituire, ma deve affiancare, la relazione uomo-uomo, in quanto alla base della conoscenza vi è un valore fondamentale che, come abbiamo detto, è prerogativa solo umana: l’esperienza.
“Dobbiamo distinguere tra informazione e conoscenza. La prima presuppone che ci sia una conoscenza tacita che passa attraverso il fatto che due persone che hanno la stessa informazione giungano a due conclusioni diverse perché hanno esperienze diverse. Questo elemento, che non è digitalizzabile, è un patrimonio fondamentale che le aziende hanno e su cui devono far leva se vogliono non solo condividere informazioni, ma anche quel valore che è dato dalle persone che fanno quell’attività”, spiega David Bevilacqua, CEO di Ammagamma.
Ma sono queste relazioni e questa capacità (e disponibilità) degli uomini a collaborare e scambiarsi esperienze a creare l’innovazione. E il rischio, in un mondo del lavoro sempre più digitalizzato, è quello di cadere nella trappola che lo spazio dove prima si costruivano e si alimentavano queste relazioni (il luogo di lavoro) non sia più un fattore rilevante.
Ed è proprio per questo motivo che dietro i percorsi di trasformazione digitale, a tutti i livelli, c’è un tema di cultura. E il rischio, in una cultura che in tante realtà è andata (o sta andando) verso la remotizzazione del lavoro – concetto ben diverso da quello di smart working – è dimenticare il ruolo dello spazio fisico nella creazione spontanea di relazioni che sono strumentali all’innovazione, e quindi alla creazione del valore aziendale.
“Se vogliamo lavorare sulla creazione di conoscenza condivisa all’interno dell’azienda, dobbiamo riprendere in considerazione spazi sociali, le interazioni sociali e dobbiamo creare una cultura manageriale che sia diversa da quella che oggi si trova nelle aziende”, spiega Bevilacqua.
“La conoscenza informale, quella che deriva da interazioni spontanee, è un patrimonio importantissimo per le persone. Sappiamo che le relazioni spontanee nascono a una distanza inferiore di otto metri. Questo ci fa comprendere quanto sia importante lo spazio, e le relazioni che sono contenute all’interno. L’AI può essere un grande promotore di conoscenza, ma solo se la pensiamo all’interno di questo contesto”, aggiunge Alessandro Braga, CDO di Talent Garden.
Nuove logiche di investimento e opportunità di business
Questi cambiamenti culturali implicano anche un ripensamento delle logiche costi-benefici che tradizionalmente accompagnavano la valutazione degli investimenti aziendali. Non solo perché queste tecnologie sono ad oggi accessibili anche alle PMI, ma anche perché si inseriscono in un contesto di evoluzione (tecnologica e di mercato) caratterizzata da ritmi sempre più veloci.
“In un contesto dove i trend di cambiamento sono molto più veloci non è più possibile aspettare e decidere in base a come si evolverà una tecnologia. Ora o salti subito sul treno o il rischio è di rimanere fuori dal mercato”, spiega Martina Stefanon, Business Development Manager di IMA Group.
Quello che accomuna le aziende che hanno partecipato al convegno è un approccio alla sperimentazione graduale e coraggioso, basato sulla consapevolezza che in un contesto sempre più intelligente, connesso e che viaggia verso la sostenibilità, intesa in tutte le sue accezioni, non valutare come queste tecnologie possano essere declinate all’interno dell’impresa ha un costo più alto rispetto al rischio di fallimento che ciascun progetto di innovazione porta con sé.
Il percorso di IMA, ad esempio, è iniziato dalla connessione delle macchine per estrarre dati in un modo pulito e ricco, che ha consentito di tradurre il dato grezzo in informazione e l’informazione in conoscenza.
“Già le prime analisi semplici si traducevano in valore per il cliente, come supporto a decisioni data-driven e non più sentiment-driven. Oggi forniamo analytics che liberano il cliente dall’onere dell’elaborazione offrendo previsioni su guasti e anomalie. Il prossimo step per noi sarà fornire al cliente non più solo un dato o un’informazione, ma istruzioni concrete su cosa fare”, spiega Stefanon.
L’evoluzione di questi modelli, lungo la strada della servitizzazione, comporterà successivamente anche una revisione delle logiche che sono alla base dell’interazione con i clienti: se la vendita del prodotto non è più l’elemento che genera il valore, ma il valore viene generato dal servizio che il fornitore eroga all’end-user, cambierà necessariamente sia il ruolo di questi attori della filiera che la loro relazione. E farsi trovare preparati davanti a queste trasformazioni, inevitabili e incombenti, è cruciale per la sopravvivenza delle imprese.
Come l’AI cambia le competenze necessarie all’innovazione
Come già detto, non si tratta solo di trasformazioni tecnologiche. Oltre all’elemento culturale, un’altra sfida strettamente correlata all’evoluzione tecnologica riguarda le competenze in seno all’azienda.
Si tratta di un legame profondo: da un lato, nuove capacità delle tecnologie (e quindi nuove applicazioni) promuovono una contaminazione tra mansioni e quindi tra competenze. Questo, a sua volta, traina la richiesta di semplificazione nell’utilizzo di tali tecnologie da parte degli end-user. Dall’altra, man mano che si digitalizzano sempre più conoscenze e cambiano le relazioni all’interno della filiera, saranno proprio quelle capacità umane che non possono essere digitalizzate ad acquisire un’importanza sempre maggiore.
Accanto a competenze più “tecniche” (come, ad esempio, la conoscenza di una macchina), saranno proprio le competenze interpersonali – necessarie a stabilire e coltivare le relazioni – ad assumere un ruolo sempre più importante.
Come costruire queste competenze in casa? E80, forte del successo del suo percorso di digitalizzazione, ha individuato alcuni fattori chiave:
- Un forte commitment da parte del management e della proprietà dell’azienda
- Costruire una rete formale o informale di persone con percorso formativo diverso, in modo da cogliere tutte le sfaccettature del cambiamento trainato da queste tecnologie profondamente trasformative.
- Creare un portfolio di sperimentazioni per iniziare, facendo attenzione ad analizzare per ogni progettualità costi-benefici.
- Mettersi in gioco, tagliare subito i i rami secchi e focalizzarsi sulle progettualità a valore aggiunto. E per queste avere il coraggio di passare poi dall’esperimento alla produzione
“La tecnologia corre veloce, quindi occorre dedicare tempo quotidiano allo studio, al confronto con altri con cui condividere punti di vista ed esperienze”, rileva Mondini.
Il ruolo della open innovation
La rete di relazioni che consente all’impresa di creare conoscenza non si esaurisce all’interno dei confini aziendali. La necessità di semplificazione e integrazione delle tecnologie digitali ha infatti spinto le aziende, già da qualche anno, ad adottare un approccio all’innovazione aperto anche verso i propri competitor.
Questo approccio, anche conosciuto con il termine “open innovation”, ha portato in diversi casi a progressi molto interessanti sul fronte di tecnologie ed applicazioni, che hanno mostrato come la condivisione della conoscenza anche all’esterno dell’azienda sia in grado di creare valore per tutti gli stakeholder coinvolti.
Questo dialogo è oggi più semplice e rapido grazie al digitale, anche se implica considerazioni e sfide, non irrilevanti, in termine di sicurezza dei dati. Sfide che, se vinte, possono abilitare la creazione di reti – che non riguardano necessariamente competitor ma possono estendersi, ad esempio, ad esperti di temi rilevanti all’impresa – che facilitano il processo di innovazione all’interno dell’azienda.
Ed è un aspetto centrale per il Gruppo Danieli, costruttore di macchine e impianti.
“Per Danieli è fondamentale catturare la conoscenza degli esperti e l’AI ci ha permesso di mettere più velocemente in relazione chi crea l’idea e chi la utilizza. Siamo sicuri ora che se costruiamo una rete efficace di persone, questa rete ci permetterà di fare un passo in avanti e di rendere l’innovazione più veloce e reattiva”, spiega Alberto Sasso, Innovation Manager del Gruppo Danieli.
Iniziare a “tessere” questa rete è indispensabile a costruire ora quella conoscenza che sarà indispensabile a governare i cambiamenti di domani. L’AI può essere uno strumento abilitante per una conoscenza più approfondita e consapevole, ma è l’uomo che rimane al centro del processo di innovazione e creazione del valore.
L’articolo L’intelligenza artificiale come ponte tra uomo e macchina e verso una conoscenza condivisa proviene da Innovation Post.